top of page

emilio sobrero | premio michetti 2015 02.08.2015 - 31.08.2015


IL PERCORSO DI UN PITTORE TRA NOVECENTO E POSTIMPRESSIONISMO

E’ possibile per un pittore italiano, attivo dagli anni venti agli anni cinquanta del secolo scorso, essere insieme novecentista e post-impressionista, fedele alla tradizione italiana e aperto alla modernità europea? La risposta è affermativa e porta il nome di Emilio Sobrero, la cui personalità artistica, dopo un periodo di relativo oblio, è stata riscoperta da un ventennio circa, a partire dalla mostra monografica che Francesco Poli gli ha dedicato presso il Circolo degli Artisti di Torino nel 1996.

Emilio Sobrero nasce a Torino il 9 dicembre 1890 in una famiglia borghese di buon livello culturale. Il padre Giovanni è medico e fratello del giornalista Cesare Sobrero. I cugini milanesi Abbado sono musicisti. Il fratello Mario, più grande di Emilio di sette anni, diventerà giornalista, scrittore e drammaturgo di un certo successo. Dopo avere terminato gli studi classici a Torino, nel 1908 si iscrive all’Accademia Albertina di Belle Arti, che frequenta per tre anni. A questo periodo risale lo studio accademico di un calco in gesso raffigurante una testa di vecchio, segnato da un forte verismo di stampo naturalista, che rende molto bene il carattere severo e autoritario del personaggio. La prima fase della sua attività pittorica, che va dal 1914 al 1919 circa, da lui stesso definita “romantica” è caratterizzata dal rifiuto dei dominanti ottocentismi della tradizione torinese e da un certo goticismo lineare tendente alla sintesi. In questo periodo la sua pittura si rivolge soprattutto agli aspetti della vita agreste e al paesaggio, risentendo dell’influsso di Fontanesi. Nel 1914 Sobrero compie il suo primo importante esordio all’Esposizione Nazionale di Belle Arti nel Palazzo della Permanente di Milano. Dal 1915 al 1919 partecipa a varie mostre collettive presso il Circolo degli Artisti di Torino e nel 1916 alla Biennale di Brera a Milano, dove presenta la tela Piccola bara, capolavoro giovanile di lirica intensità, dove l’elegia agreste del tema – il funerale di un bambino – è sostenuta da un impianto spaziale e compositivo già sapientemente modulato. L’intimo e dignitoso raccoglimento dell’umile famiglia ha un tono spirituale che ricorda il grande Millet, ma declinato attraverso il filtro piemontese di un Pellizza da Volpedo, nella qualità leggermente divisionista e filamentosa del colore. La poesia simbolista del dipinto è tutta giocata sul contrasto tra la stagione primaverile descritta nella sua rigogliosa fragranza luministica e il tema funerario, con l’immagine della piccola bara, che portata sulle spalle dal padre, arriva a sfiorare un ramo fiorito. La natura sembra volere accompagnare quella piccola creatura, con la stessa amorevole tenerezza della madre che tiene per mano l’altro suo figliolo. Al candore luminoso del ramo fiorito si contrappone l’albero spoglio visibile sullo sfondo, ricordo della passata stagione invernale e insieme consueto simbolo di morte. Nel trapasso del loro bimbo i suoi umili familiari possono percepire l’inizio di una nuova vita, non più terrestre ma spirituale. Per loro si dischiude così uno spiraglio sul paradiso, e paradisiaca è infatti l’atmosfera che si respira in questo piccolo lembo di campagna piemontese. Nel 1919 Sobrero frequenta a Torino il cenacolo intellettuale animato da Piero Gobetti intorno alla sua rivista “Energie nuove”, un ambiente di giovani aperto a interessi sociali e culturali in opposizione all’ideologia ufficiale dominante, del quale fanno parte i pittori Felice Casorati, Felice Carena e Gigi Chessa, il critico Franco Ciarlantini, il musicologo Ronga, i musicisti Gandini e Deseler, e Carlo Levi, che non ancora ha iniziato a dipingere.

Nell’autunno 1919 Sobrero partecipa alla I Quadriennale di Torino, importante luogo d’incontro per la rinnovata pittura del primo dopoguerra. Vi espone Vendemmia, di cui Emilio Zanzi, sulla “Gazzetta del Popolo”, ammira la “notevole saldezza decorativa, aliena da ricercatezze, improntata ad un certo equilibrio architettonico”. In quella mostra Sobrero rimane particolarmente colpito dai quadri di Felice Casorati, come Maria Anna De Lisi e Tiro al bersaglio, di cui apprezza l’estremo rigore stilistico, la ricerca dell’essenzialità dei volumi e l’annullamento di ogni elemento aneddotico. Nei dipinti realizzati da Sobrero tra il 1919 e il 1921 si rileva una fase di passaggio caratterizzata da una certa volontà di riduzione sintetica della forma e di semplificazione lineare di marca primitivista, affine allo stile di Aldo Carpi, come si vede, ad esempio, nella grande Crocifissione, esposta nel 1920 alla Mostra d’Arte Cristiana al Palazzo Reale di Venezia, considerata dall’artista l’ultima espressione del suo periodo “romantico”. Dal 1921 al 1924, pur senza esporre i suoi dipinti in pubblico, sviluppa una nuova ricerca pittorica incentrata sullo studio degli impressionisti e dei postimpressionisti, in particolare di Cézanne, di cui ha modo di vedere direttamente una selezione significativa di opere alla Biennale veneziana del 1920. Realizza così un percorso verso la modernità, compiuto a fianco degli amici Felice Carena e Gigi Chessa, che gli permette di raggiungere una rigorosa semplificazione dei temi, una rielaborazione profonda del linguaggio pittorico, una maggiore consapevolezza dell’autonomia dei mezzi espressivi, dei valori plastici e tonali della composizione. Una nuova logica strutturale e una più corposa plasticità anima i quadri di questo periodo: paesaggi, composizioni di nudi e soprattutto nature morte, come quella con Arance e panno verde del 1923, impostata su un piano obliquo e ribaltato in avanti, vista dall’alto, come nei quadri di Cézanne. La composizione è organicamente strutturata per piani e volumi di solida e semplice corposità cromatica, in una serrata interconnessione degli oggetti fra loro e con lo spazio che li accoglie.

La serie più importante di nature morte di questo periodo, che prende avvio con Venere e specchio del 1921, è quella in cui Sobrero mette in scena, insieme ad altri oggetti, il calco in gesso di un’Afrodite classica acefala e senza braccia, un elemento di origine accademica, ma trattato con uno spirito del tutto moderno e post-impressionista. Lo stesso candido torso di Venere, riflesso in uno specchio, si vede in un dipinto di Casorati del 1921, Natura morta con maschere, in cui l’artista sembra meditare, con raffinata ambiguità, sulla relazione tra realtà e rappresentazione, nella dimensione allo stesso tempo quotidiana e atemporale del suo studio. Benchè sia innegabile una certa affinità tematica, nè la tensione purista della forma, nè la suggestione metafisica e straniante dell’opera casoratiana si ritrovano nella pittura di Sobrero, caratterizzata da una visione meno intellettualistica e più diretta, tutta protesa a cercare l’equilibrio architettonico dell’insieme, la concretezza dei volumi e un effetto atmosferico e luministico avvolgente, come si vede anche in Oggetti al lume di candela (1923) e in Torino (Cortile) (1924). In quest’ultimo il torso di Venere è posato in controluce davanti ad un terrazzo aperto su uno scorcio urbano, in arioso dialogo con il mondo esterno, come un frammento lirico la cui antica bellezza riesce ancora a farsi attuale. Qui l’interno privato non è investito dal fragore chiassoso e travolgente del mondo esterno della città, come nei quadri futuristi di Boccioni, ma conserva il suo silenzioso e appartato equilibrio, secondo una visione post-impressionista. Non mancano in questo periodo le grandi composizioni di nudi come Bagnanti del 1924, la cui forte architettura formale suona come un omaggio a Cézanne, modulato attraverso il filtro di Carena. Notevoli risultati vengono raggiunti da Sobrero con gli autoritratti, in cui medita sulla propria identità di uomo e di artista, mettendo in evidenza il suo carattere riflessivo e introverso, la sua espressività calma e allo stesso tempo determinata. Nell’Autoritratto a mezzo busto del 1923 preferisce firmarsi con le sole iniziali “ES” scritte in alto a sinistra, che, se fossero lette in lingua latina, suonerebbero come una risposta affermativa circa l’essenza della propria individualità, proclamata davanti alla sua immagine riflessa sullo specchio della pittura. L’Autoritratto con camiciotto del 1924, in piedi davanti al cavalletto, è il capolavoro della sua maturità, momento di compiuta espressione di quell’equilibrio tra forma, luce e colore, che Sobrero ricerca da anni, mettendo a frutto gli insegnamenti più vitali della pittura moderna.

Nel periodo dal 1921 al 1924, oltre al lavoro pittorico, Sobrero intraprende una sporadica attività di critica d’arte per la “Gazzetta del Popolo” e per altre riviste, rivolta a riscoprire la migliore pittura italiana dell’Ottocento e l’Impressionismo francese, ma anche a difendere le nuove proposte artistiche dei suoi amici Casorati, Chessa e Menzio. Oltre a realizzare manifesti e copertine di libri, nel 1924 illustra il romanzo di Joseph Conrad La casa sul fiume grande uscito a puntate sull’“Illustrazione del Popolo”.

Nel dicembre 1924 riprende a esporre con la selezione dei Venti artisti italiani alla Galleria Pesaro di Milano, curata da Ugo Ojetti seguendo le istanze di un nuovo classicismo già novecentista. Gli artisti presenti in mostra, tra cui Carena, Casorati, Chessa, Menzio e Galante, sono per il critico i protagonisti di un movimento di ritorno all’ordine, al mestiere e ai valori plastici della grande tradizione italiana. La preponderanza dei quadri di figura, tra i quali anche la Composizione di nudi e l’Autoritratto del 1924 di Sobrero, viene interpretata da Ojetti come segno di un nuovo umanesimo.

Nel 1925 Felice Casorati, lo scrittore Mario Sobrero, fratello di Emilio, gli architetti Annibale Rigotti e Alberto Sartoris fondano la Società di Belle Arti “Antonio Fontanesi”, di cui Casorati è nominato presidente. Tra i propositi principali di tale Società c’è quello di rileggere la tradizione ottocentesca antiretorica e di qualità preziosa, attraverso mostre esemplari come quelle dedicate alle tavolette macchiaiole acquistate da Riccardo Gualino, ai paesisti piemontesi, ad Armando Spadini e a Emilio Gola. In queste scelte espositive si avverte l’influenza di Lionello Venturi e, forse, anche una certa affinità con quanto sostiene Ardengo Soffici circa il recupero della tradizione ottocentesca in chiave regionalistica, per rifuggire da un novecentismo esclusivamente classicista. Un altro importante impegno della Società “Fontanesi” è quello di promuovere l’arte contemporanea, organizzando numerosi eventi espositivi fuori e dentro Torino. Il primo di essi è la mostra di bozzetti e disegni nella primavera del 1925, in cui Sobrero espone insieme a Casorati, Chessa, Galante, Menzio e Marchesini. Con lo stesso gruppo di artisti torinesi in estate partecipa alla mostra di Ca’Pesaro al Lido di Venezia.

Le nature morte di questo periodo, come Anemoni (1925) e Cartoccio di cipolle (1926), manifestano, rispetto a quelle precedenti, una diversa opulenza pittorica e una più profonda attenzione alla costruzione cromatica, che si discosta dal nitore purista dei modelli casoratiani, più classicamente delineati. L’Autoritratto con cappello del 1926, molto apprezzato da Lionello Venturi per la sua levità plastico-luministica di origine macchiaiola e impressionista, sarà acquistato da Riccardo Gualino.

Nel febbraio 1926, invitato da Margherita Sarfatti, insieme ad altri maestri torinesi come Casorati, Menzio e Galante, Sobrero partecipa alla Prima Mostra del Novecento Italiano, allestita presso il Palazzo della Permanente di Milano. Ugo Ojetti, recensendo l’esposizione, inserisce le opere di Sobrero, tra cui Fiori e Mattino d’estate, nel filone cézanniano. A giugno Sobrero cura per la Società Fontanesi la mostra di Armano Spadini a Torino, mentre sull’”Illustrazione del Popolo” scrive una recensione sulla collezione Gualino.

Nel novembre 1926 Sobrero partecipa alla mostra Vedute di Torino organizzata dalla Società Fontanesi, dove sono presenti Casorati con alcuni suoi allievi e il futuro gruppo dei Sei al completo.

Molto apprezzati dalla critica sono i suoi paesaggi Il monte dei cappuccini e Mattino d’estate, entrambi del 1925, che riflettono molto bene il proposito della mostra, incentrato sulla valorizzazione di un genere tanto amato dagli impressionisti e dai macchiaioli, in sintonia con i gusti di Venturi e di Gualino.

Nel febbraio 1927 Sobrero prende parte all’esposizione Artistes italiens contemporains, organizzata da Alberto Sartoris al Musée Rath di Ginevra, insieme ad altri diciassette pittori tra i quali Casorati, Chessa, Menzio, Galante e Carena. Oltre ad essere l’artista che espone più opere (ventisei in tutto), Sobrero è anche l’autore del manifesto della mostra. Nel catalogo è presentato da un giovane allievo di Lionello Venturi, Mario Soldati, che segue l’attività artistica di Sobrero dal 1925 e diventerà uno dei suoi maggiori sostenitori. Una mostra analoga, organizzata sempre in Svizzera da Sartoris con lo stesso gruppo di artisti, si apre un mese dopo presso la Künsthaus di Zurigo, dove a tenere il discorso inaugurale è Margherita Sarfatti.

Nel maggio 1927 Sobrero partecipa alla III Biennale Internazionale di Arti Decorative allestita alla Villa Reale di Monza. A rappresentare la sezione torinese, composta dagli artisti della Società Fontanesi, nella cosiddetta “Contrada delle botteghe”, ci sono la Macelleria di Casorati e Sartoris, la Farmacia di Chessa, la Confetteria di Menzio, il Negozio da fioraia di Lenci, il Centralino telefonico Stipel di Deabate e il Bar di Sobrero, impreziosito da un grande banco di marmo verzino, nicchie simmetriche con vetri di Murano e un lampadario metallico. Nello stesso anno Sobrero partecipa inoltre alla Quadriennale di Torino e all’Esposizione d’arte italiana organizzata dal gruppo di Novecento presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam.

Alla fine del 1927 Sobrero si trasferisce a Roma, dove raggiunge il fratello Mario, che vi risiede già da un anno. Quest’ultimo gli commissiona la realizzazione dei bozzetti per le scene e per i costumi della sua tragedia Immortali, che sarà rappresentatata l’anno seguente al Teatro di Torino. Con gli amici della città natale Sobrero mantiene comunque i contatti, come attestano varie lettere ritrovate di Venturi, Casorati, Gualino, Soldati, Menzio, Levi e altri.

Nel 1928 Sobrero partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove presenta l’Autoritratto del 1926, acquistato da Gualino, e Donna che legge del 1927, il cui impianto novecentista viene felicemente risolto con eleganti morbidezze tonali. Mario Soldati, commentando l’esposizione, colloca Sobrero accanto a Tosi, Carrà, Guidi, Funi, Salietti, Sironi e Carena, tutti esponenti della nuova tendenza da lui definita “neoromantica”, sostenuta da “pure sensorietà pittoriche”, da un “grande amore per la materia, per l’impasto della pittura”, da soggetti semplici, lontani da ogni “intelligentismo”, da un recupero dei valori pittorici dell’Ottocento italiano e di quello francese, in opposizione al gusto “neoclassico” prima dominante, rappresentato da Casorati.

Nel dicembre 1928 a Roma Sobrero inaugura la sua prima mostra personale, esponendo trenta dipinti presso l’Associazione Artistica, Circolo di Cultura del Sindacato Laziale Fascista degli Artisti. Il catalogo è firmato da Mario Soldati. Tra le varie opere, vengono lodate dalla critica soprattutto le piccole vedute romane, che colgono la poesia di deserti angoli cittadini, costruite con una pennellata immediata e densa di pasta pittorica.

Nel 1929 Margherita Sarfatti organizza la Seconda Mostra del Novecento Italiano a Milano, dove Sobrero è chiamato a partecipare nel gruppo torinese insieme a Casorati, Chessa, Menzio, Galante e Paulucci. Il nostro vi espone tre opere, Anemoni, Ragazza accanto alla finestra e Giovane donna. Quest’ultimo ritratto, eseguito a Torino nel 1927, appare molto affine alla luminosa sensibilità intimistica di Chessa e Menzio, anche se presenta un plasticismo più studiato. Mario Soldati lo descrive così: “Ecco dunque la Giovane donna che, indietreggiando lievemente il busto, vi guarda con occhi carichi di una tranquilla sensualità, e vi offre un ampio seno ricolmo, una guancia morbida, dove la voluttà del belletto pare confondersi col piacere della pittura”.

Sempre nel 1929 Sobrero prende parte alla mostra di arte italiana presso l’Esposizione Internazionale di Barcellona e viene nominato membro della Commissione per la scelta delle opere da esporre nella Prima Mostra del Sindacato Laziale Fascista degli Artisti, che si tiene a marzo nel Palazzo delle Esposizioni e dove lui stesso presenta cinque opere.

Nel 1930 l’artista partecipa a esposizioni collettive a Basilea, a Berna, alla Seconda Mostra del Sindacato Laziale Fascista di Belle Arti a Roma, alla XVII Biennale di Venezia e alla Mostra del Novecento italiano curata dalla Sarfatti a Buenos Aires. Nello stesso anno riceve la medaglia d’oro per i bozzetti delle scene del Gugliemo Tell presentati alla Triennale Monzese delle Arti Decorative.

Nel 1931 si tiene al Palazzo delle Esposizioni la prima Quadriennale romana, diretta da Cipriano Efisio Oppo, nella quale Sobrero presenta tre opere: due ariosi e ben costruiti paesaggi romani, tra i quali Villa Massimo, che sarà acquistato dallo Stato per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, e Trastevere(1930), raffigurante due giovani donne appoggiate al davanzale di una finestra, in atteggiamenti di pacata e dimessa quotidianità. Questo quadro non vuole essere un doppio ritratto, ma una scena di ambientazione, tutta giocata sul passaggio tra la penombra che si addensa nell’ambiente interno retrostante e la morbida luce esterna, che investe le figure di taglio, esaltandone le masse corporee, rese con un sintetismo di ascendenza manetiana. Il senso di silenziosa e poetica sospensione del tempo quotidiano, che si avverte in quest’angolo appartato di città, ci porta a pensare quasi ad un Hopper nostrano, in versione trasteverina.

Nel 1931-32 Sobrero trascorre un periodo di soggiorno a Parigi, dove nel gennaio 1932 allestisce una sua personale alla Galerie de la Jeune Europe, la quale un mese prima aveva ospitato una mostra di pittori torinesi tra cui Menzio e Levi, presentata da Lionello Venturi. La conseguenza più rilevante del soggiorno parigino di Sobrero sembra essere stata la forte e prolungata influenza di Derain, che emergerà in molte sue figure degli anni trenta, come Bagnanti, il murale realizzato nel 1933 in una sala del Palazzo della Triennale di Milano sotto la supervisione di Mario Sironi, e i numerosi ritratti femminili, in particolare quelli della moglie Matilde, “tutti caratterizzati da una singolare inespressività e da una figurazione ben riconoscibile ma altrettanto antinaturalistica”.

In occasione della II Quadriennale romana del 1935, dove espone sette opere, Sobrero scrive per il catalogo un’autopresentazione, in cui, dopo aver ricordato l’importanza che per la sua formazione ha assunto lo studio della pittura impressionista, sottolinea il valore dello spirito latino, che contraddistingue il linguaggio dell’arte italiana e che lui sente ancora profondamente attuale. Di qui la sua passione dichiarata per Roma, “sua fonte genuina”: “Di Roma diventata così la mia città di elezione, amo profondamente gli elementi naturali: il paesaggio potentemente plastico, la luce, l’atmosfera limpidissima, ma più l’equilibrato e compiuto senso di vita che vi domina, dal quale penso che l’arte non possa fare astrazione, senza pericolo di cadere nel basso psicologismo. L’aver inteso profondamente ed in piena coscienza il rinnovato richiamo di Roma è un fatto che pongo volentieri come giustificazione ideale del mio lavoro passato e come fondamento sicuro per quello avvenire”. I suoi paesaggi romani, per i quali nel 1938 vince il primo premio alla Sindacale allestita presso i Mercati Traianei, continueranno ad rimanere anche in seguito le prove più felici della sua pittura, come mostrano le due tele qui esposte, Il Pincio (1942) e Villini romani (1944), dove il suo animo sensibile e pacato torna nuovamente ad ascoltare il canto ineffabile della luce.

Giovanbattista Benedicenti

bottom of page